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Podcast di informazione per Tributaristi e Fiscalisti, per darti un aggiornamento costante e quotidiano su Fisco e Lavoro.

Circolare settimana 34

Episodio 66 – Bonifico Parlante: cos’è, a cosa serve, come si compila

Cos’è il bonifico parlante?

Il bonifico parlante di fatto è un documento che presenta traccia della transazione relativa al pagamento di una spesa, e ne specifica tutte le informazioni.

Il bonifico parlante è diventato uno dei metodi di pagamento più richiesti, questo documento è indispensabile per coloro che vogliono richiedere alcune detrazioni fiscali sui propri immobili, come il bonus mobili ed il bonus ristrutturazioni, il Sismabonus e il superbonus 110%.

Il bonifico parlante deve riportare tutte le informazioni come:

  • Informazioni relative alla persona verso cui è destinato;
  • Codice IBAN della persona a cui si sta versando il denaro;
  • Causale contenente la descrizione della motivazione del bonifico;
  • Codice fiscale del soggetto che vuole beneficiare delle agevolazioni fiscali;
  • Codice fiscale o partita Iva dei soggetti che hanno lavorato per chi riceve le agevolazioni.

A cosa serve il bonifico parlante

Il bonifico parlante favorisce l’accesso alle agevolazioni fiscali previste per determinati lavori. Nel caso per esempio in cui un soggetto scelga di pagare un’azienda edile per alcuni lavori specifici sugli immobili, per poter accedere alle agevolazioni è consigliato utilizzare il bonifico parlante, che dimostra nel dettaglio chi ha svolto i lavori, chi li ha pagati e quali sono stati i lavori.

Un bonifico parlante garantisce l’accesso rapido alle agevolazioni fiscali, perché tutto è disposto in modo chiaro e le informazioni sono complete. Ricordiamo che lo stato ha proposto ai cittadini diverse tipologie di lavori con agevolazione fiscale, soprattutto in campo edile.

Si tratta di agevolazioni in termini di tasse, a cui si può accedere tramite particolari tipi di lavori. Un esempio sono i lavori collegati al superbonus 110%, che prevedono l’applicazione di bonus nel caso in cui il proprietario di uno o più immobili decida di eseguire alcuni lavori di ristrutturazione che rientrano in determinate categorie. In linea generale in questo caso si tratta di lavori che hanno l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica dell’abitazione.

Ma anche altri lavori, sono soggetti ad agevolazione fiscale, e si consiglia il bonifico parlante per poterli eseguire tramite bonus fiscali. Si tratta ad esempio del sisma bonus, per il miglioramento della condizione sismica degli immobili, oppure dell’ecobonus, oppure del bonus facciate, oppure ancora del bonus mobili.

Pagamento tracciabile e bonifico parlante

In linea di massima, a parte qualche eccezione alla regola, per poter ricevere le agevolazioni fiscali correttamente è necessario tenere con sé tutta la documentazione che attesta le spese effettuate, i lavori applicati e i soggetti interessati. Per alcune tipologie di lavori è buona norma inviare anche la richiesta all’ENEA.

Per tutti i bonus ci sono i pagamenti tramite sistemi tracciabili, che garantiscono una maggiore trasparenza nelle operazioni. Il pagamento in contanti viene di fatto escluso per poter ricevere le esenzioni fiscali stabilite dai diversi bonus.

Inoltre il bonifico parlante è un valido strumento per attestare in via inconfutabile l’avvenuto pagamento, le modalità e le causali per cui il soggetto ha sostenuto una determinata spesa.

Come compilare correttamente la causale del bonifico parlante

Il documento può essere compilato online sul sito della propria banca o presso la filiale della propria banca, in alternativa è possibile anche recarsi presso lo sportello dell’ufficio postale, richiedendo il modello specifico per il bonifico parlante.

Oltre alle informazioni relative ai soggetti coinvolti, come la partita Iva o il codice fiscale, è molto importante compilare correttamente la causale relativa alla spesa sostenuta, per poter accedere alle giuste agevolazioni.

Viene consigliato di indicare nella causale la motivazione per cui si è svolto il lavoro, il bonus per cui si sta richiedendo l’accesso all’agevolazione, e eventualmente il numero di fattura che ci si accinge a saldare. Queste informazioni sono un collegamento diretto con i dati relativi al lavoro, e in questo modo la comunicazione è trasparente.

La causale deve sempre essere presente, in caso di causale mancante o non specificata, potrebbero sorgere dubbi sulla sussistenza stessa del pagamento, che andrebbero a compromettere l’accesso al bonus a cui si ha diritto. La causale può contenere la normativa di riferimento, ad esempio in caso di ristrutturazione edilizia o efficientamento energetico la normativa di riferimento è l’articolo 16-bis del DPR del 22 Dicembre 1986.

Infine, è buona norma chiedere il codice fiscale e conoscere la partita Iva dei soggetti coinvolti nei lavori, in modo da poterli specificare non solo nel bonifico parlante, ma anche durante la presentazione dei documenti per eventuali controlli.

Ascolta l’episodio 66 – Bonifico Parlante: cos’è, a cosa serve, come si compila

Episodio 67 – Liquidazioni periodiche IVA Li.Pe.

Che cos’è la comunicazione delle liquidazioni periodiche iva?

La comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva è un adempimento fiscale, il quale prevede l’obbligo di comunicare i propri dati relativi alla detrazione dell’Iva. In particolare, i soggetti obbligati a tale adempimento sono soggetti a comunicazione dei dati contabili riepilogativi relativi alle liquidazioni periodiche dell’imposta.

Questo è quanto previsto dall’art. 21-bis del D.L. n. 78/10, disposizione convertita con modificazioni dalla Legge n. 122/2010.

L’obbligo comunicativo sussiste anche nei casi in cui dalla liquidazione emerge un’eccedenza a credito.

Chi sono i soggetti tenuti all’obbligo di invio delle liquidazioni periodiche iva (lipe)?

soggetti obbligati alla predisposizione ed all’invio telematico delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva sono gli operatori economici titolari di partita Iva. L’obbligo di predisporre le Lipe prescinde dalla periodicità (mensile o trimestrale) della liquidazione Iva.

Possiamo, al contrario, evidenziare che sono esclusi dalla comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva, i seguenti soggetti:

  • Soggetti che aderiscono al Regime Forfettario di cui all’art. 1, commi da 54 a 89, del la L. 190/2014;
  • Contribuenti minimi, ai sensi dell’art. 27, comma 1 e 2, del D.L. n. 98/2011;
  • Soggetti passivi che effettuano esclusivamente operazioni esenti Iva;
  • Enti associativi che hanno optato per il regime di determinazione del reddito e dell’Iva secondo i criteri forfetari di cui alla L. n. 398/1991;
  • Contribuenti esonerati dalle liquidazioni periodiche IVA;
  • Soggetti esclusi dalla presentazione della Dichiarazione Iva annuale;
  • Soggetti che non hanno effettuato operazioni nel periodo di imposta e che non dispongono crediti d’imposta da fruire.

Quali sono le scadenze delle liquidazioni periodiche iva?

La comunicazione Lipe ha periodicità trimestrale (indipendentemente dalla periodicità di liquidazione dell’IVA). La comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva deve essere inviata dal contribuente entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo ad ogni trimestre.

  • Primo trimestre: entro il 31 maggio;
  • Secondo trimestre: entro il 16 settembre;
  • Terzo trimestre: entro il 30 novembre;
  • Quarto trimestre: entro il 28 febbraio (dell’anno successivo).

Per ciascuna liquidazione periodica deve essere compilato un distinto modulo (quadro VP) del modello “Comunicazione liquidazioni periodiche IVA“. Pertanto:

  • contribuenti mensili presentano tre moduli (un modulo per ciascun mese del trimestre di riferimento);
  • contribuenti trimestrali, invece, presentano un unico modulo, relativo al trimestre di riferimento.

Comunicazione liquidazione iva: istruzioni

Per trasmettere la comunicazione trimestrale IVA, occorre preparare un file xml che rispetti le specifiche tecniche e che, in particolare, contenga:

  • I dati identificativi del soggetto a cui si riferisce la comunicazione;
  • I dati delle operazioni di liquidazione IVA effettuate nel trimestre di riferimento;
  • Dati dell’eventuale dichiarante.

La comunicazione può essere predisposta mediante il software di compilazione reso disponibile dall’Agenzia delle Entrate sul relativo sito istituzionale e deve essere presentata:

  • Esclusivamente in via telematica, utilizzando il canale web “Fatture e corrispettivi” dell’Agenzia delle Entrate ovvero uno dei canali abilitati per il colloquio con il Sistema di Interscambio;
  • Direttamente dal contribuente ovvero mediante intermediari abilitati.

Comunicazione liquidazione iva: sanzioni

Il D.L. n. 193 del 2016 ha determinato gli aspetti sanzionatori legati alle violazioni in tema di comunicazione liquidazione iva. L’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche è punita con la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 2.000. Tale sanzione è ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro 15 giorni successivi alla scadenza di legge.

Tuttavia, gli importi delle sanzioni possono essere ridotti applicando il ravvedimento operoso.

Il ravvedimento delle comunicazioni periodiche iva

Con la Risoluzione 104/E del 2017, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la disciplina sanzionatoria e in particolare del ravvedimento operoso di questo adempimento. Al riguardo, l’Agenzia ha osservato che l’esposta disciplina sanzionatoria è contenuta nell’articolo 11, commi 2-bis e 2-ter, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 con natura amministrativo-tributaria. Pertanto, si evince che risulta applicabile l’istituto del ravvedimento operoso previsto dall’articolo 13 del D.Lgs. del 18 dicembre 1997, n. 472.

Per effettuare la regolarizzazione vi sono due modalità:

  1. Effettuare il ravvedimento prima dell’invio del Modello di dichiarazione Iva annuale. In questo caso è necessario procedere ad un nuovo invio della comunicazione Lipe;
  2. Procedere a fare la correzione direttamente in sede di predisposizione del Modello di dichiarazione Iva. In questo caso non è necessario procedere ad un nuovo invio della comunicazione.

Per il ravvedimento della mancata (o errata) effettuazione della comunicazione, si applicano le regole ordinarie dettate dall’articolo 13, comma 1, lettera a-bis) e seguenti, del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Controlli dell’agenzia delle entrate sulle comunicazioni delle liquidazioni iva

L’obiettivo della comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva è quello di permettere all’Agenzia delle Entrate di effettuare dei controlli incrociati. L’Agenzia una volta ricevuti i dati delle liquidazioni Iva, analizza le informazioni ottenute e le confronta con le eccedenze a debito versate dal contribuente. Vedasi quanto disposto dall’art. 21-bis, comma 5, del D.L. n. 78/10.

Qualora dai controlli effettuati emerga un insufficiente versamento d’imposta, l’Agenzia informa il soggetto passivo, con una comunicazione di irregolarità. Il contribuente, ricevuta la comunicazione, ha la possibilità di:

  • Fornire chiarimenti o segnalare dati o elementi non considerati o valutati erroneamente, qualora ritenga che il versamento effettuato sia corretto, anche attraverso autotutela;
  • Soddisfare la pretesa erariale, beneficiando dell’istituto del ravvedimento operoso, qualora ritenga di avere effettuato un insufficiente versamento.

Ascolta l’episodio 67 – Liquidazioni periodiche IVA Li.Pe.

Episodio 68 – Revoca delle dimissioni entro 7 giorni

Revoca delle dimissioni: cos’è e come funziona

La revoca delle dimissioni è una procedura che avviene successivamente alle dimissioni, nel momento in cui il dipendente intende annullare di fatto le dimissioni già presentate. In linea generale per procedere alle dimissioni è preferibile presentare comunicazione ufficiale, tramite web. Tuttavia esiste la possibilità che il dipendente scelga di revocare le dimissioni, si tratta di una procedura ammessa, che deve avvenire in via ufficiale online. Per revocare le dimissioni infatti è necessario procedere per via telematica, confermando la revoca alla presentazione di dimissioni presentata in precedenza. La revoca delle dimissioni permette al lavoratore di rientrare a lavoro come se le dimissioni non fossero mai state presentate.

Le dimissioni devono essere effettuate esclusivamente con modalità telematiche, a pena di inefficacia. La comunicazione delle dimissioni è inviata mediante form online, disponibile sul sito del ministero del Lavoro. Una volta inviato il modulo delle dimissioni, viene trasmesso al datore di lavoro e all’Ispettorato territoriale del lavoro competente.

La revoca delle dimissioni è un diritto del lavoratore dipendente, che successivamente alla presentazione delle dimissioni, può avere un ripensamento e voler continuare il rapporto lavorativo interrotto. Tuttavia la revoca delle dimissioni va presentata entro 7 giorni dalle dimissioni stesse.

In ogni caso è possibile i che l’azienda abbia già cominciato a muoversi per cercare un sostituto al dipendente che si è dimesso, e superando i sette giorni non è più possibile recuperare il rapporto di lavoro così come era in precedenza.

La revoca delle dimissioni può essere effettuata online, al pari delle dimissioni, anche se è consigliato avvisare direttamente il datore di lavoro.

Per procedere con le dimissioni, è possibile utilizzare i servizi messi a disposizione da Cliclavoro.gov.it, che spiega anche come comunicare la revoca delle dimissioni tramite portale web.

Per rendere effettiva la revoca delle dimissioni è consigliato sia inviare la comunicazione telematicamente, sia contattare il datore di lavoro, entro i 7 giorni stabiliti dalla normativa.

Esistono speciali categorie di lavoratori che non devono presentare le dimissioni online:

  • Dipendenti pubblici;
  • Lavoratori domestici (esclusi i collaboratori domestici in somministrazione) e marittimi;
  • Lavoratrici, nel periodo tra la richiesta delle pubblicazioni del matrimonio e l’anno successivo alla celebrazione delle nozze, a pena di nullità;
  • Lavoratrici, durante il periodo di gravidanza;
  • Lavoratrici e i lavoratori, nei primi 3 anni di vita del bambino (o nei periodi equiparati in caso di adozione ed affidamento), a pena di inefficacia.

Revoca delle dimissioni: come funziona

Come spiega Cliclavoro.gov.it:

“A partire dal 12 marzo 2016 le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dovranno essere effettuate in modalità esclusivamente telematiche, tramite una semplice procedura online accessibile dal sito Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.”

La procedura online può essere svolta dal dipendente o dal consulente del lavoro incaricato di seguire il lavoratore, accedendo alla propria area riservata e compilando telematicamente la richiesta. non è possibile presentare una nuova revoca delle dimissioni successivamente per lo stesso datore di lavoro:

“La revoca può essere inviata entro 7 giorni dall’invio della comunicazione. Decorso il termine di 7 giorni utile per la revoca, per lo stesso rapporto di lavoro sarà possibile inviare nuove dimissioni, non revocabili.”

Preavviso per le dimissioni

Come detto le dimissioni devono essere effettuate con le modalità telematiche, tuttavia, restano ferme le regole generali in materia di preavviso. Le dimissioni che non rispettano il termine di preavviso stabilito dal contratto collettivo applicato, sono immediatamente efficacima obbligano il lavoratore a risarcire al datore di lavoro l’equivalente del periodo di mancato preavviso, fatte salve le ipotesi di dimissioni per giusta causa.

Revoca delle dimissioni: le motivazioni

Un lavoratore dipendente che decide di dimettersi, terminando così un rapporto di lavoro, potrebbe aver riflettuto su questa decisione per diversi motivi, che possono essere di natura personale o collegati alla tipologia di lavoro in sé. Successivamente, è possibile che il lavoratore si accorga entro pochi giorni di voler continuare a lavorare per lo stesso datore di lavoro.

Le motivazioni per le dimissioni possono essere di diversa natura: una decisione presa per via di un trasferimento, per via di un’assunzione in un’altra azienda, oppure per motivazioni strettamente personali, come quella di voler cambiare tipologia di lavoro o prendersi un periodo di pausa lungo dal lavoro. In tutti questi casi tuttavia, il lavoratore ha qualche giorno di tempo per revocare le dimissioni.

Nel caso in cui il lavoratore dipendente abbia dato le dimissioni secondo un periodo di preavviso, e la revoca delle dimissioni rientra in questo periodo di tempo, in cui effettivamente il lavoratore è ancora impiegato presso l’azienda, è possibile chiedere la revoca in modo piuttosto semplice. Questo perché il dipendente di fatto continuerebbe a coprire un posto di lavoro che già svolgeva, senza ulteriori squilibri nell’organizzazione.

In alternativa, può accadere invece che il lavoratore abbia dato dimissioni immediate, sia perché non è previsto preavviso sia perché ha scelto di lasciare il lavoro senza prima aver reso note le proprie intenzioni. In questi casi è più difficile garantire la continuità nel lavoro, quindi potrebbe accadere che il lavoratore venga nel frattempo sostituito.

Quando il datore di lavoro riceve la comunicazione delle dimissioni, entro 5 giorni deve comunicare il termine del rapporto del lavoro al Centro per l’Impiego. Il termine di un rapporto di lavoro implica infine tutta una serie di azioni che il datore deve effettuare, come il calcolo e il versamento del trattamento di fine rapporto, l’erogazione delle mensilità che riguardano tredicesima e quattordicesima, ecc.

Per questo motivo la revoca delle dimissioni deve arrivare tempestivamente da parte del lavoratore che intende annullare le proprie dimissioni, che dovrà poi revocare la comunicazione già inviata al Centro per l’Impiego. Successivamente ai 7 giorni, per il lavoratore non è possibile presentare una revoca alle dimissioni dal luogo di lavoro, se non per giusta motivazione, in casi particolari in cui si dimostra la sussistenza di un errore, oppure di incapacità di intendere e di volere, o di minacce ricevute che hanno portato il lavoratore a presentare le dimissioni. In tutti gli altri casi non è possibile presentare una revoca delle dimissioni oltre i 7 giorni stabiliti.

Ascolta l’episodio 68 – Revoca delle dimissioni entro 7 giorni

Episodio 69 – Lavoro intermittente o a chiamata

Contratto intermittente o a chiamata: funzione, utilità e caratteristiche

Il contratto di lavoro intermittente o a chiamata è un negozio costitutivo di un rapporto di lavoro caratterizzato dalla circostanza per la quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi

Però questo strumento è, sottoposto a limitazioni sia oggettive che soggettive.

Vediamo cosa c’è da sapere sul contratto di lavoro intermittente o a chiamata.

Dal punto di vista oggettivo, Il contratto di lavoro intermittente, o come è noto tra gli addetti ai lavori “Job on call” (contratto a chiamata), costituisce un rapporto di lavoro subordinato caratterizzato da una certa flessibilità. con questo contratto il lavoratore pone a disposizione del datore di lavoro la propria prestazione lavorativa, vale a dire le proprie energie e competenze, con cadenza appunto intermittente. Dunque, l’attività lavorativa si caratterizza per una peculiare discontinuità, per la mancanza di continuità nell’esercizio delle funzioni da parte del lavoratore.

Il lavoratore intermittente può essere chiamato soltanto all’occorrenza, ovvero per periodi particolari dell’anno, per picchi di produzione o di affluenza, per la stagione estiva, e via dicendo. Si differenzia, dal lavoro a tempo pieno o anche part time, purché nella sua forma classica, in quanto la durata e la frequenza della prestazione non sono determinabili all’inizio del rapporto lavorativo e sono espletate in conformità alle esigenze delle imprese che se ne servono.

Tuttavia, ciò non esclude che abbiano periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

Dal punto di vista del profilo soggettivo, può essere concluso con soggetti abbiano meno di 24 più di 55 anni.

Le particolari peculiarità che connotano questa tipologia contrattuale implica, che esso sia adeguatamente disciplinato. Anche per quanto attiene alle esigenze a cui assolve, perché sia legittimo il ricorso a questa tipologia contrattuale di lavoro subordinato, devono essere individuate dalla contrattazione collettiva.

Disciplina del contratto intermittente e presupposti

Il contratto di lavoro intermittente  è stato disciplinato per la prima volta nel nostro ordinamento dalla c.d. Legge Biagi, d.lgs n.276/2003. Attualmente è stato revisionato mediante l’introduzione dell’articolo 13 del d. lgs 81/2015, il quale sostanzialmente mantiene la linea della precedente disciplina normativa in materia (d.lgs n.276/2003; d.l. 112/2008; L.92/2012; d.l.n.76/2013).

Forma e contenuto

Il contratto di lavoro intermittente deve presentare uno specifico contenuto, oltre ad avere forma scritta a pena di nullità. In specie deve indicare:

  • la durata, ovvero se è il lavoro è a tempo determinato o indeterminato;
  • la causa del ricorso alla forma di lavoro intermittente, che può essere oggettiva o soggettiva;
  • il luogo e la modalità di svolgimento dello stesso, nonché le disponibilità del lavoratore;
  • il preavviso di chiamata;
  • l’ammontare della retribuzione e dell’eventuale indennità di disponibilità, ovvero un compenso che il lavoratore percepisce nei periodi di inattività. Se il contratto la prevede, nei periodi di attività il lavoratore deve essere sempre reperibile e ad accettare sempre la chiamata. Deve, inoltre, contenere anche la misura dell’indennità di disponibilità oltre a tempi e modi con i quali saranno effettuati i pagamenti. Se l’indennità non è prevista, l’accettazione non è obbligatoria. L’indennità è stabilità dal CCNL del relativo settore e in ogni caso non può mai essere inferiore al 20% del minimo tabellare;
  • le modalità di chiamata del lavoratore, cioè forme e modalità tramite le quali può essere chiamato ad esercitare la propria attività lavorativa;
  • le eventuali norme di sicurezza che il lavoratore è tenuto a rispettare sul luogo di lavoro.

Disponibilità

Per quanto riguarda la disponibilità nel contratto di lavoro intermittente o a chiamata, occorre effettuare una distinzione tra:

  • Lavoro intermittente con pattuizione dell’obbligo di disponibilità: il lavoratore  si  obbliga  a  restare  a  disposizione  del  datore  di  lavoro, a tempo indeterminato o determinato, e riceverà una indennità di disponibilità. Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, e un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o dal contratto di lavoro. Per quanto riguarda l’indennità di disponibilità deve essere stabilita la misura della indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso garantisce la disponibilità al datore di lavoro. In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore e’ tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell’impedimento. Nel periodo di temporanea indisponibilità non matura il diritto alla indennità di disponibilità;
  • Lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità: il lavoratore non si impegna contrattualmente ad accettare la chiamata del datore di lavoro, pertanto non ha diritto all’indennità ma ha diritto soltanto alla retribuzione per il lavoro prestato.

Limiti oggettivi

Questa forma contrattuale, caratterizzata da un’ampia flessibilità, si può, tuttavia, prestare ad abusi da parte dei datori di lavoro. Proprio per tale ragione sono previsti alcuni limiti oggettivi:

  • può essere impiegato solo per l’esecuzione di specifiche prestazioni lavorative;
  • non può essere impiegato per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari, ad eccezione fatta per il: a) settore turismo; b) pubblici servizi; c) settore spettacolo.

Quando questi limiti sono superati, il contratto di lavoro intermittente si converte in contratto di lavoro a tempo indeterminato

L’ art.14 del d.lgs 81/2015 stabilisce ulteriori limiti all’uso del lavoro intermittente:

  • non può essere utilizzato per sostituire lavoratori in sciopero;
  • se nella medesima unità produttiva, nei sei mesi precedenti, sono stati effettuati licenziamenti;
  • se nella medesima unità produttiva, nei sei mesi precedenti, sono operanti o una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  • è vitato per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione rischi nell’ambito della misure inerenti la sicurezza.

Profili economici del contratto di lavoro intermittente

È, inoltre, opportuno effettuare alcune precisazioni per quanto riguarda i profili economici del contratto di lavoro intermittente. Il datore di lavoro è tenuto ad una serie di adempimenti ed oneri nei confronti del lavoratore, analoga a quella prevista nei confronti del lavoratore dipendente a tempo indeterminato che svolge le stesse mansioni dell’intermittente.

Il datore di lavoro, deve versare mensilmente un’indennità al lavoratore, per i periodi di inattività, durante i quali è in attesa di chiamata. L’importo minimo dell’indennità è stabilito dai contratti collettivi di settore. Tuttavia, questo non può comunque essere inferiore al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato.

Tale indennità non matura per i periodi di impedimento al lavoro previsti all’art. 16 punto 4 D.lgs 81/2015, rispetto ai quali il lavoratore è tenuto a dare tempestiva informazione al datore.

Ascolta l’episodio 69 – Lavoro intermittente o a chiamata

Episodio 70 – NASPI 2021: si può lavorare durante il periodo di disoccupazione?

Naspi e disoccupazione: la norma

La normativa prevede che la NASPI venga erogata esclusivamente a chi ha perso il proprio lavoro in modo involontario. Quando si presenta la richiesta infatti bisogna dichiarare all’INPS che è avvenuta una perdita di lavoro, con normale contratto di tipo subordinato, che prescinde dalla volontà del soggetto.

La NASPI non viene erogata automaticamente, una volta che il cittadino perde il lavoro, ma bisogna presentare una richiesta specifica per poter ricevere questo sussidio, e va richiesta nel più breve tempo possibile dall’evento. Come spiega l’INPS l’indennità viene erogata:

  • Dall’ottavo giorno dopo la fine del lavoro, se la domanda di accesso è presentata entro i primi otto giorni, oppure dal giorno dopo a quando viene presentata la domanda;
  • Dall’ottavo giorno dopo la fine del periodo di maternità, di infortunio, o malattia professionale, oppure dal giorno dopo a quando viene presentata la domanda;
  • Dal trentottesimo giorno dopo il licenziamento per giusta causa, oppure dopo la presentazione della domanda;

Questo vuol dire che se nel periodo che intercorre tra la fine del lavoro e la ricezione della NASPI il soggetto trova una nuova occupazione, questa andrà a sospendere automaticamente la ricezione dell’indennità di disoccupazione. Presentare la domanda per la NASPI inoltre vuol dire comunicare la disponibilità ad un nuovo lavoro, che segue lo svolgimento anche di attività e progetti mirati all’inserimento.

Naspi e lavoro: quando è possibile?

La NASPI in linea generale non è compatibile con il lavoro. Questo vuol dire che non è consentito continuare a ricevere l’indennità di disoccupazione nel momento in cui si cominci un nuovo lavoro. Svolgere un’attività in nero o contrattualizzata mentre si riceve la NASPI è considerato un illecito sanzionabile.

Eppure ci sono alcune eccezioni alla regola, che permettono a chi sta ricevendo la NASPI anche di lavorare. Prima di tutto bisogna ricordare che contratti che stabiliscono un reddito ma che sono inerenti a borse di studio, stage e tirocini, non annullano il ricevimento della NASPI.

Lo stesso accade nel caso in cui il soggetto svolga attività sportiva dilettantistica, oppure lavori in modo autonomo occasionale con reddito inferiore ai 5.000 euro annui. Risulta possibile ricevere ancora l’indennità anche nel caso in cui sia presente una pensione di invalidità, reddito di cittadinanza o indennità Covid-19.

Nel caso di lavoro autonomo occasionale, l’INPS specifica che è necessario che i lavori vengano svolti in modo saltuario, che non si tratti cioè di un lavoro che comporta un reddito costante:

“Se percepisci già la NASpI , puoi svolgere attività lavorativa di natura occasionale (lavoro accessorio) solo in caso di lavori sporadici e saltuari, remunerati tramite il Libretto famiglia, nel limite complessivo di 5mila euro annui.”

Naspi anticipata e lavoro autonomo: come funziona

Anche nel caso di lavoro autonomo, è possibile in un certo senso percepire l’indennità di disoccupazione, a seguito della perdita involontaria del lavoro dipendente. In questo caso il soggetto può richiedere che la NASPI venga versata in un’unica soluzione. Si tratta di casi specifici:

  • Se il soggetto avvia un’attività autonoma;
  • Se il soggetto avvia un’attività di impresa;
  • Se il soggetto sottoscrive una quota di capitale sociale di cooperativa con attività lavorativa;
  • Se il soggetto svolge a tempo pieno l’attività autonoma che aveva già iniziato mentre lavorava come dipendente subordinato.

L’INPS poi specifica anche i termini per ricevere la NASPI mentre si svolge attività autonoma:

“In caso di attività lavorativa autonoma, spetta la NASpI a condizione che il reddito annuo presunto non sia superiore a 4.800 euro. Se l’attività era preesistente, il reddito annuo presunto, anche se pari a “zero”, deve essere comunicato, per non perdere il diritto, entro 30 giorni dall’invio della domanda.”

Infine esiste una possibilità di ricevere l’indennità di disoccupazione nel momento in cui si svolge un lavoro part-time. In questo caso si parla di un soggetto che ha perso uno di due lavori svolti part-time, e ha diritto a beneficiare della NASPI per uno dei due. In questo caso è possibile ricevere l’indennità e continuare a svolgere il secondo lavoro part-time se il reddito presunto per l’attività dipendente rimasta non supera gli 8.145 euro annui.

Indennità di disoccupazione e lavoro all’estero

Molti dubbi ci sono sulla possibilità di ricevere questa forma di sostegno economico derivano anche dallo svolgimento di un lavoro all’estero. Al fine di poter presentare la domanda di accesso all’indennità, non sono incluse le situazioni in cui il lavoratore perde un lavoro subordinato svolto in un altro paese che non sia l’Italia.

In questo senso è importante che il soggetto che chiede la NASPI abbia perso un lavoro di tipo subordinato nei confini nazionali. Un altro dubbio riguarda il trasferimento all’estero successivo alla richiesta di indennità.

La normativa prevede che si possa continuare a ricevere l’indennità nel momento in cui ci si sposta all’estero per motivi specifici, come ad esempio periodi brevi dovuti a matrimoni, malattia o lutto. Se si intende spostarsi all’estero per espatriare, l’indennità di disoccupazione viene persa automaticamente.

Sanzioni per chi dichiara il falso

Esistono sanzioni importanti per chi dichiara di aver perso il lavoro e chiede l’accesso alla NASPI, ma al tempo stesso sta recependo un reddito da lavoro dipendente. In questo caso la NASPI è percepita in modo illecito.

Il rischio è quello di incorrere in sanzioni pecuniarie, e ad essere sanzionato non è solo il soggetto interessato, ma anche il datore di lavoro per cui sta effettivamente lavorando pur percependo la NASPI.

Questo in particolar modo nel momento in cui il soggetto svolge il lavoro in nero, ovvero senza un contratto stabilito tra le parti e senza il versamento delle dovute imposte. Il datore di lavoro rischia di essere sanzionato anche in misura maggiore rispetto al lavoratore.

Ascolta l’episodio 70 – NASPI 2021: si può lavorare durante il periodo di disoccupazione?

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