Si definisce antistatario l’avvocato che dichiara al giudice di avere assistito il proprio cliente senza avere riscosso gli onorari e anticipando le spese del giudizio.
L’avvocato è distrattario quando ottiene dal giudice che nella sentenza gli vengano attribuite direttamente le spese legali poste a carico della controparte soccombente.
Avvocato antistatario
In pratica, il difensore è antistatario quando non ha percepito nulla dal proprio assistito ma, anzi, ha perfino anticipato le spese vive necessarie per il procedimento, come ad esempio quelle di notifica e di estrazione copie.
L’antistatarietà viene in genere dichiarata nel primo atto introduttivo del giudizio (atto di citazione, ricorso, ecc.).
Con l’antistatarietà l’avvocato dichiara di non aver percepito nulla dal proprio assistito e di aver anticipato le spese; con la distrazione, invece, l’avvocato ottiene il pagamento delle spese legali liquidate in sentenza direttamente a proprio favore.
Avvocato distrattrio
Così la legge: “Il difensore con procura può chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese, distragga in favore suo e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipate”. Con la “distrazione”, quindi, l’avvocato matura il diritto a ottenere le spese legali liquidate in sentenza, con la conseguenza che la parte soccombente dovrà liquidarle direttamente a lui e non alla parte vittoriosa.
L’avvocato distrattario diviene creditore della controparte, con la conseguenza che, se non viene pagato, potrà porre in esecuzione la sentenza nel proprio interesse (limitatamente al pagamento di quanto il giudice gli ha attribuito). Si tratta quindi di un diritto di credito autonomo rispetto a quello preesistente nei confronti del proprio cliente, al quale si aggiunge. La richiesta di distrazione delle spese in suo favore può essere formulata dall’avvocato anche nelle conclusioni o in comparsa conclusionale.
È dunque chiara la differenza tra difensore antistatario e distrattario: con l’antistatarietà l’avvocato dichiara di non aver percepito nulla dal proprio assistito e di aver anticipato le spese; con la distrazione, invece, l’avvocato ottiene il pagamento delle spese legali liquidate in sentenza direttamente a proprio favore.
Secondo la giurisprudenza [Trib. Cassino, sent. n. 867 del 21 giugno 2016], l’avvocato distrattario, oltre a ottenere il pagamento delle spese legali dalla controparte soccombente, può anche chiedere l’onorario al proprio assistito. Per fare ciò, tuttavia, sarebbe consigliabile mettere per iscritto tale accordo sin dall’inizio, al fine di evitare contestazioni da parte del cliente, il quale potrebbe lamentarsi del fatto che il proprio difensore finisca per percepire una “doppia parcella”. Infatti, se l’avvocato si dichiara antistatario non dovrebbe percepire nulla dal suo cliente.
L’avvocato distrattario che ha ottenuto il pagamento dell’onorario dalla controparte soccombente deve comunque emettere fattura nei confronti del proprio assistito, limitandosi a rilasciare alla parte soccombente ricevuta per le spese corrisposte. L’avvocato dovrà inoltre precisare, nella fattura emessa al suo cliente, che l’effettivo pagamento è avvenuto a opera del soggetto soccombente a seguito del processo.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione [Cass., sez. un., sent. n. 8561 del 26 marzo 2021], il gratuito patrocinio è compatibile con la dichiarazione di distrazione. Ciò significa che l’avvocato può essere pagato sia dallo Stato che dalla controparte. La compatibilità dei due istituti si giustifica in quanto mentre il gratuito patrocinio è un diritto del cliente, la distrazione delle spese è un diritto dell’avvocato.
Aspetti contabili e fiscali
Al fine di analizzare gli aspetti fiscali si precisa che indipendentemente dal soggetto che effettua il pagamento, la prestazione professionale è sempre resa nei confronti del cliente, in base al principio basilare sancito dall’articolo 18 del Dpr n. 633/1972.
In base a tale principio, nel caso in cui l’Ente sia risultato soccombente in giudizio e il giudice abbia disposto il pagamento delle spese legali in capo a quest’ultimo, l’avvocato dovrà fatturare esclusivamente al proprio cliente, il quale lo pagherà con il denaro “messo a disposizione” dalla parte soccombente. Ciò significa che non può essere emessa fattura nei confronti dell’Ente in quanto manca la fattispecie di prestazione: il titolo di pagamento è rappresentato dalla sentenza e non già dal documento fiscale, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 387/2020, richiamando la circolare del ministero dell’Economia e delle Finanze n. 203/1994.
Il codice di procedura civile in merito al pagamento delle spese legali prevede due casistiche:
- art. 91 c.p.c.: disciplina il rimborso delle spese legali da parte del soccombente al vittorioso;
L’articolo 91 del codice di procedura civile esplica effetti diversi in relazione alla soggettività passiva ai fini Iva, nonché alla possibilità della parte vittoriosa di detrarsi o meno l’imposta sul valore aggiunto. In particolare, nel caso in cui la parte vittoriosa sia soggetto titolare di partita iva e possa detrarsi l’Iva, quest’ultima rimane a suo carico in quanto, essendo applicata dal suo avvocato in fattura, genererà un credito nei confronti dello Stato. In conseguenza di ciò, l’Ente corrisponderà l’importo totale al netto dell’Iva.
Al contrario, nel caso in cui la parte vittoriosa non si detragga l’Iva e quindi sia un soggetto privato o titolare di partita iva (ad esempio in regime forfettario). L’Iva diventa un costo ed in quanto tale verrà rimborsato dalla parte soccombente. - art. 93 c.p.c.: disciplina il pagamento diretto da parte del soccombente al legale del vittorioso attraverso la distrazione delle spese.
Nel caso di pagamento diretto al legale della parte vittoriosa valgono le stesse regole indicate nel caso di applicazione dell’articolo 91 del codice di procedura civile con la peculiarità che l’avvocato andrà ad annotare nella fattura, emessa sempre nei confronti della parte vittoriosa, l’avvenuto pagamento da parte soccombente.
Sulla base di quanto sopra, la verifica in merito alla soggettività iva della parte vittoriosa risulta necessaria e opportuna al fine dell’individuazione puntuale della somma da corrispondere e, quindi, da determinare in sede di riconoscimento del debito fuori bilancio.
IVA
La Cassazione nell’ordinanza n. 2818 del 30.01.2024, nel ribadire i concetti poc’anzi esposti, ha chiarito che incombe al soccombente dimostrare che la parte vittoriosa rientra tra i soggetti che si detraggono l’iva e, quindi, non deve sostenere il costo dell’imposta in questione. Pertanto, è opportuno che l’ente, ai fini dell’individuazione puntuale dell’importo da corrispondere e, quindi, da indicare in sede di riconoscimento del debito fuori bilancio, acquisisca un’apposita dichiarazione della parte vittoriosa.
RITENUTA D’ACCONTO
L’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 189/2023 ha chiarito che, laddove la parte soccombente provveda al pagamento delle spese di lite nei confronti dell’avvocato difensore della controparte vittoria, trattandosi di pubblica amministrazione obbligata all’applicazione delle ritenute (articolo 29, comma 5 del Dpr n. 600/1973), è tenuta ad assumere la veste di sostituto d’imposta, sia nel caso di avvocato antistatario che munito di delega all’incasso. Da ciò scaturisce l’obbligo per l’ente di operare le ritenute d’acconto sulle somme erogate al professionista e certificare i compensi, nonché le ritenute stesse, mediante emissione, rispettivamente, della certificazione unica e presentazione della dichiarazione fiscale modello 770.
Dott.ssa Ramona Fraticelli