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Banca d’Italia, “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette”, 12 gennaio 2001, p. 3; Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, circolare 1 dicembre 2008, n. 8/IR.

Come visto, la normativa italiana in materia di antiriciclaggio ha posto a carico dei c.d soggetti obbligati un obbligo di collaborazione con le autorità preposte al contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.

Il principio di collaborazione attiva

Inizialmente questi obblighi consistevano nella acquisizione di copie dei documenti dei soggetti che ponevano in essere le operazioni di sportello in contanti; successivamente, gli adempimenti a carico dei c.d. Soggetti obbligati sono divenuti sempre più incisivi e raffinati.

L’obbligo per gli intermediari di segnalare le operazioni che destano sospetto circa la provenienza illecita dei fondi trasferiti ha introdotto il principio di “collaborazione attiva”, che richiede un impegno concreto e costante in termini di formazione del personale e di adeguamento delle strutture organizzative.

L’esperienza ha dimostrato come tale impegno si traduca in una migliore conoscenza della clientela e in minori rischi di coinvolgimento in operazioni illecite, che hanno gravi ripercussioni, oltre che sulla reputazione, anche sulla regolare operatività aziendale.

Il Consiglio nazionale dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a seguito dell’emanazione del decreto legislativo n. 231/2007, di recepimento della terza direttiva antiriciclaggio, ha emanato la circolare citata in nota, nella quale ha illustrato le caratteristiche (e le criticità) del c.d. principio di collaborazione attiva, secondo il quale i professionisti sono chiamati a collaborare con lo Stato e gli altri organismi sovranazionali sopra visti, nell’attività di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

Riportiamo di seguito alcuni passaggi della circolare in cui sono enunciati alcuni principi ai quali deve ispirarsi il professionista nello svolgimento della propria attività.

«Lo scenario normativo introdotto dal decreto legislativo n. 231/2007 appare connotato da una accresciuta complessità degli obblighi gravanti sui professionisti, già tenuti, per effetto di quanto disposto dal decreto legislativo n. 56/2004 [di recepimento della seconda direttiva antiriciclaggio] e dalla relativa regolamentazione attuativa, a porre in essere una serie di adempimenti finalizzati alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio».

«La revisione di questi adempimenti si è resa necessaria al fine di attuare quanto disposto dalla terza direttiva nel dichiarato intento di aumentare l’impegno di prevenzione: a tal scopo le relative misure sono state adeguate anche al fine di garantire la copertura di fenomeni connessi al finanziamento del terrorismo, oltre che al riciclaggio».

«A ciascuna misura corrisponde un insieme di adempimenti esecutivi, alcuni analiticamente descritti dalla normativa, altri demandati alla regolamentazione secondaria».

«Ad ogni modo, la comprensione della ratio ispiratrice di tali obblighi non può prescindere dalla considerazione dei principi generali ai quali deve essere ispirata l’applicazione della normativa, enunciati dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 231/2007 [nel testo in vigore fino al 3 luglio 2017]: “Le misure di cui al presente decreto si fondano anche sulla collaborazione attiva da parte dei destinatari delle disposizioni in esso previste, i quali adottano idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell’osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Essi adempiono gli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della propria attività istituzionale o professionale”».

«Con riferimento alla condotta [da tenere], va fin d’ora precisato che al professionista non è richiesto di svolgere autonome attività investigative bensì, in presenza di indici di anomalia, di ottenere ulteriori informazioni in merito allo scopo e alla natura dell’operazione da svolgere e, ove necessario, di effettuare la segnalazione della stessa alle autorità competenti. Lo si desume dalla formulazione del primo comma della norma, che delimita il perimetro delle “indagini” alle informazioni possedute o acquisite dal professionista nell’ambito della propria attività istituzionale o professionale».

«Quanto alla condotta richiesta ai professionisti, dalla lettura dell’articolo 20 [oggi articolo 17, comma 3] emerge che questi ultimi devono essere in grado di dimostrare alle autorità di vigilanza di settore, ovvero agli ordini professionali, che la portata delle misure adottate è adeguata all’entità del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Anche in tal caso la norma è foriera di non pochi dubbi interpretativi».

«[Deve infatti] ribadirsi che, nell’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica, al professionista non può essere richiesta una diligenza ulteriore rispetto a quella che normalmente caratterizza l’attività svolta».

«Infatti, in mancanza di poteri autoritativi, in capo al professionista non possono ravvisarsi obblighi di indagine ma, più limitatamente, obblighi di richiesta di informazioni da valutare volta per volta in relazione alle specifiche circostanze oggettive e soggettive».

Estratto dell’Ebook “L’antiriciclaggio per i Commercialisti” di GBsoftware in collaborazione con il Dott. Manlio Mascolo

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