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L’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 (e successive modificazioni e integrazioni) prevede uno specifico regime di tassazione per le cosiddette ”società di comodo” o ”società non operative” (di seguito, solo ”società non operative”) Tale articolo ha subito notevoli modifiche ed ampliamenti nel tempo che hanno allargato la platea dei soggetti che rientrano nel suo perimetro di applicazione.

La normativa si prefigge l’obiettivo di colpire le società “di comodo”, dette anche società “non operative”, ovvero le società che non esercitano una effettiva attività commerciale, non rispondono ad esigenze di tipo imprenditoriale, ma perseguono altri fini. I termini “di comodo” e “non operative” sono utilizzati in modo fungibile dal legislatore, che richiama il primo nella rubrica dell’articolo 30 della legge 724/1994, ed il secondo nel corpo della norma.

Normativa

In particolare, ai sensi del comma 1, dell’art. 30 L. 724/1994 Sono soggette alla disciplina delle società di comodo:

  • le società per azioni
  • le società in accomandita per azioni
  • le società a responsabilità limitata
  • le società in nome collettivo
  • e le società in accomandita semplice
  • le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato

Si considerano non operative se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore ai ricavi minimi presunti, stimati ai sensi dei commi 1 e 2 (il c.d. test di operatività).

Le società non operative sono tenute a dichiarare un reddito minimo presunto, quantificato applicando ai valori di determinati beni posseduti nell’esercizio, le percentuali forfetarie previste al comma 3 del medesimo articolo 30.

A fronte del mancato superamento del test di non operatività previsto dall’articolo 30 citato, grava sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria circa l’esistenza di situazioni di carattere straordinario, specifiche e indipendenti dalla sua volontà che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi e di reddito minimo presunti.

Ai sensi del comma 4­bis del citato articolo, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può interpellare l’amministrazione.

Con la circolare n. 5/e del 2 febbraio 2007 l’Agenzia delle Entrate ha definito gli elementi necessari dell’istanza di interpello:

  • descrizione della fattispecie concreta;
  • indicazione delle oggettive situazioni che hanno impedito alla società di superare il test di operatività di cui all’art. 30 comma 1 della legge 724/1994 o di conseguire un reddito almeno pari a quello minimo presunto, determinato ai sensi del comma 3 dello stesso articolo;
  • atti e documenti necessari alla corretta individuazione e qualificazione della fattispecie

La società considerata di comodo, si trova dinanzi ad un aggravio del peso fiscale:

  1. Ai fini IRAP, si presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al reddito minimo determinato secondo le percentuali prestabilite, aumentato delle retribuzioni per personale dipendente, dei compensi spettanti per i collaboratori coordinati e continuativi, di quelli per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e degli interessi passivi.
  2. Ai fini IVA, il divieto per le società e gli enti non operativi di ottenere a rimborso, compensare o cedere, l’eccedenza del credito risultate dalla dichiarazione iva.
  3. Ai fini IRES una maggiorazione di 10.5% per l’aliquota a carico di tali società.

Recenti e rilevanti risposte dell’agenzia delle entrate

Società di comodo e iva a credito

Con la risposta 10 del 18 gennaio 2024, l’agenzia delle Entrate condivide la soluzione del contribuente che richiede di poter ripristinare il credito Iva maturato durante un periodo in cui era considerato non operativo. L’articolo 30, comma 4, della legge 724/1994, dispone che “per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs 241 del 1997, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter del Dl 70 del 14 marzo 1988, convertito con modificazioni dalla legge 154 del 13 maggio 1988. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi“. La società istante, risultata non operativa per una annualità, ha dovuto restituire, con pagamento rateale della cartella di pagamento ricevuta, il credito erroneamente ottenuto a rimborso. Considerando però che nel triennio di riferimento operano le cause di esclusione della normativa sulle società di comodo, l’istante ha richiesto di poter rigenerare il credito Iva che sta restituendo all’erario con il pagamento rateale della cartella.

L’Agenzia conferma tale possibilità e, ricorda che nel rigo VL40 della dichiarazione Iva annuale è possibile indicare l’ammontare corrispondente al credito riversato, al netto delle somme versate a titolo di sanzione e interessi, qualora nel periodo di imposta siano state versate somme richieste con appositi atti di recupero. In questo modo la validità del credito oggetto di riversamento viene rigenerata ed equiparata a quella del credito formatosi nel periodo di imposta oggetto di dichiarazione.

Onere della prova sul contribuente

Con la risposta a interpello n. 57 del 27 febbraio 2024 in tema di regime di tassazione per le società di comodo, l’Agenzia delle Entrate ricorda che il legislatore pone a carico del contribuente che non ha superato il test di operatività di dimostrare gli eventi oggettivi che gli hanno impedito di superarlo. La Società argomenta la propria richiesta di disapplicazione sostenendo, tra l’altro, che ”il valore di mercato dell’immobile [i.e., il centro commerciale di cui è proprietaria] non corrisponde al valore del costo storico” […]. Il fatto che il valore (ossia, il costo fiscalmente riconosciuto al lordo dei relativi ammortamenti, ex articolo 110, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 di seguito, ”TUIR”) dell’immobile di proprietà della Società, in base al quale viene determinato il reddito minimo presunto, non rifletta il valore di mercato dello stesso immobile, comporterebbe secondo la Società la quantificazione di un ”reddito minimo di riferimento non realistico”. Secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate la Società deve evidenziare come il minor valore di mercato dell’immobile avrebbe influito o influisca in concreto sull’inattendibilità o non congruità dei ricavi minimi presunti.

Disapplicazione in caso di locazione di immobili

In relazione all’applicazione della disciplina delle società non operative nell’ipotesi di locazione di immobili, in caso di canone di locazione inferiore al prezzo di mercato, l’istanza di interpello disapplicativo può essere accolta nel presupposto che la determinazione del canone pattuito non è riconducibile alla volontà del contribuente. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 97 del 23 aprile 2024.Con la risposta a interpello n. 97 del 23 aprile 2024 in tema di contratto di rent to buy, l’Agenzia delle Entrate ricorda che, in base al comma 4-bis dell’ art. 30,   legge n. 724/1994, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini IVA di cui al comma 4, la società interessata può interpellare l’amministrazione ai sensi dell’ art. 11, comma 1, lettera b), legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente. In relazione all’applicazione della disciplina delle società non operative nel caso di locazione di immobili, la circolare n. 44/E del 9 luglio 2007 ha affermato che, in caso di canone di locazione inferiore al prezzo di mercato, l’istanza può essere accolta nel presupposto che la determinazione del canone pattuito non è riconducibile alla volontà del contribuente.

Dott.ssa Mariangela Paparusso

TAG società di comodosocietà non operative

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