Non commette reato l’imprenditore che omette di versare l’IVA a causa di una comprovata crisi di liquidità.
L’introduzione nel sistema penal-tributario del comma 3-bis dell’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000 comporta, infatti, il superamento, in punto di diritto positivo, del rigido orientamento di legittimità secondo cui l’omesso versamento di imposta in conseguenza del mancato incasso delle fatture per inadempimento di terzi non escluderebbe la sussistenza del dolo necessario ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 10-ter s.d.
Le novità del D. Lgs 87/2024
Il DLgs. 87/2024, intervenendo sulla causa di non punibilità prevista per i reati tributari nell’art. 13 del DLgs. 74/2000, ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una espressa mitigazione della responsabilità per i reati di omesso versamento nel caso di c.d. “crisi di liquidità”.
La nuova disposizione prevede, infatti, che tali condotte non siano punibili “se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto”. A tal fine, il giudice è chiamato a tenere conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
Il caso
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41238, depositata l’11 novembre 2024, tiene conto di tale novità normativa per annullare la condanna del legale rappresentante di una spa per l’omissione del versamento dell’IVA rilevante ai sensi dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, infatti la Corte di Cassazione ha statuito che non commette reato l’imprenditore che non ha versato l’IVA perché non ha incassato le fatture. La Corte ha così annullato la condanna emessa dalla Corte d’appello di Napoli di un imprenditore accusato di non avere versato l’IVA per l’anno d’imposta 2016. La condanna era stata conseguenza anche del giudizio di irrilevanza, formulato dai giudici napoletani, della documentazione presentata dalla difesa sul mancato incasso dell’IVA risultante dalle fatture dell’anno di imposta contestato a causa dell’inadempimento di un numero considerevole di committenti.
Il legislatore ha cristallizzato un indirizzo interpretativo più garantista rispetto alla prevalente giurisprudenza molto severa su cui si era fondata la sentenza di condanna della Corte d’appello nel caso di specie.
La Corte d’appello aveva in questo modo dato seguito all’indirizzo seguito dalla stessa Cassazione per il quale l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta. Contribuente che non può dedurre il mancato pagamento della fattura e neppure lo sconto bancario della fattura come causa di forza maggiore e di assenza dell’elemento soggettivo del reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto. Ad avviso dei giudici di legittimità il DLgs n. 87/2024, intervenendo a modificare l’articolo 13 del DLgs n. 74/2000, ha introdotto una nuova causa di non punibilità se il fatto dipende «dalle cause non imputabili all’autore, sopravvenute, rispettivamente all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto».
Applicazione della riforma D.Lgs 87/2024
La riforma impone poi al giudice di tenere espressamente conto della crisi di liquidità non transitoria dell’impresa dovuta all’inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e, infine, dell’impossibilità di azioni idonee a superare la crisi. L’imprenditore, nel corso del giudizio, aveva avuto modo di documentare innanzitutto l’accettazione della propria domanda di concordato da parte dell’Agenzia delle Entrate, con decreto di omologazione datato 2021. Inoltre, a corroborare la posizione della difesa c’era il riepilogo delle fatture emesse e non pagate (complessivo imponibile non pagato di 570 mila euro circa, con IVA relativa pari a circa 125 mila euro). Di più, la relazione del commissario giudiziale nel corso della procedura di concordato preventivo individuava le cause della crisi che aveva investito l’impresa, attiva nel settore delle costruzioni, da una parte nel blocco dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, dall’altra, ancora, nella crisi del mercato immobiliare e dal mancato recupero di crediti ingenti verso terzi.
In passato alcune altre significative sentenze della Cassazione avevano, in una qualche misura, temperato tale rigore interpretativo. Si è in particolare affermato che l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 trattandosi di inadempimento riconducibile all’ordinario rischio di impresa, purché tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica (Cass. n. 31352/2021 che ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, riguardante insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità). Tale decisione è stata esplicitamente richiamata anche dalla Cassazione n. 19651/2022, che ha posto l’accento sulla necessità di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive volte a comprovare una concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento, per la situazione di crisi dell’impresa determinata da ingenti inadempimenti dei clienti, le modalità e le tempistiche del ricorso al credito da parte del soggetto agente, ecc.
La sentenza in oggetto invita il giudice del rinvio di rivalutare la situazione del contribuente tenendo conto del fatto che costui aveva non solo documentato l’accettazione della propria proposta concordataria da parte dell’Agenzia delle Entrate (successivamente recepita nel decreto di omologazione del concordato preventivo), ma aveva anche allegato ulteriori circostanze di rilievo relative al riepilogo delle fatture emesse e non pagate nell’anno di imposta di riferimento (complessivo imponibile non pagato di 570.112,07 euro, IVA relativa pari a 125.424,26 euro) e, la crisi economica derivante dal blocco dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, oltre al mancato recupero di ingenti crediti verso terzi.
Dott.ssa Mariangela Paparusso