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Le norme di cui tratteremo in questo podcast evidenziano chiaramente l’intento che ha ispirato il legislatore. Ovvero di contrastare qualsiasi utilizzo strumentale degli ETS e quindi di impedire che a fronte delle agevolazioni fiscali di cui beneficiano gli ETS i soggetti che vi operano possano arricchirsi in qualche modo. L’assenza di scopo di lucro è uno degli elementi qualificanti un ente del Terzo settore (ETS).

Il patrimonio degli enti del Terzo settore (ETS) è utilizzato per consentire lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.

Buon ascolto.

Podcast GBsoftware a cura del Dott.ssa Paparusso

Ascolta “Ep.117 ETS – la finalità solidaristica dell’ente divieto di distribuzione utili e scopo non lucrativo” su Spreaker.

Divieti

Il divieto è legato ad un semplice scelta di natura etica e sociale, e rispecchia la mission stessa di tali enti: operare per il benessere collettivo e non è diretta allo scopo di lucro di chi partecipa all’attività dell’ETS.

L’art 8 del CTS in particolare sottolinea ancora una volta i principi ispiratori della riforma, che qualificano l’ETS e si sostanziano nell’assenza di scopo di lucro:”il patrimonio degli ETS è utilizzato per consentire lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (comma 1). Il comma 2 dello stesso articolo approfondisce poi il concetto espresso al comma 1 specificando che è vietata la distribuzione anche indiretta di utili, fondi e riserve a una serie di soggetti che hanno a che fare con l’ETS e in particolare (comma 3) sono contemplati tra i divieti:

  • pagamenti a tutte le cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni; il parametro quindi non è predeterminato e il Legislatore sembra voler tutelare con questa norma quegli enti che necessitano di professionalità o specializzazioni particolari, che implicano evidentemente compensi adeguati che non è possibile prevedere a priori.
  • pagamenti a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di riferimento, salvo comprovate esigenze di acquisizione di specifiche competenze per lo svolgimento delle attività di interesse generale relative a “interventi e prestazioni sanitarie“, “formazione universitaria e post-universitaria” e “ricerca scientifica di particolare interesse“; questa norma ha già sollevato qualche dubbio di legittimità costituzionale in quanto fa riferimento solamente a tre settori tra tutti quelli contemplati all’art. 5;
  • acquisti di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
  • cessioni di beni e prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti degli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, a chi effettua donazioni a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale;
  • la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento.

Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociale con la nota n. 2088/2020 è intervenuta per fornire alcuni chiarimenti in merito alla porta e all’applicazione delle disposizioni su assenza di scopo di lucro e relativa gestione dei compensi (artt. 8, comma 3, lett. b), lavoro negli enti del terzo settore e (art. 16) e compatibilità con lo status di volontariato (art. 17).

L’articolo 8, comma 3, lett. b) introduce un tetto all’erogazione dei compensi ai lavoratori del terzo settore. Si considera distribuzione indiretta di utili (e pertanto è vietata) la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi.

È previsto un altro limite, a tutela delle professionalità, dall’articolo 16: i lavoratori del terzo settore hanno infatti diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi territoriali, nazionali o aziendali sottoscritti da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; previsione a cui si aggiunge l’obbligo di garantire che la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non superi il rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda.

L’articolo 17 stabilisce l’incompatibilità tra la qualità di volontario e qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria.

Entrambe le disposizioni concernenti la determinazione del compenso negli enti del terzo settore (quindi tanto l’art. 8 quanto l’art. 16 del Cts) devono ritenersi immediatamente applicabili a decorrere dalla data di pubblicazione del Codice (3 agosto 2017). Resta fermo il principio generale di irretroattività delle leggi. Pertanto i limiti introdotti dagli artt. 8 e 16 del Codice del terzo settore troveranno applicazione soltanto in relazione ai nuovi rapporti di lavoro costituiti dopo il 03/08/2017, con esclusione dei rapporti in essere a tale data.

I valori retributivi da prendere in considerazione

In ragione del riferimento che gli artt. 8 e 16 del Cts fanno ai contratti collettivi, è emersa l’esigenza di un chiarimento riguardo i valori retributivi da prendere in considerazione ai fini del rispetto dei rapporti percentuali previsti da tali norme.

Sul punto, la nota precisa innanzitutto che la contrattazione collettiva costituisce il riferimento anche per il lavoro autonomo, comprese le collaborazioni coordinate e continuative.

Specifica inoltre che i valori retributivi da prendere in considerazione sono quelli derivanti dai diversi livelli della contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale); in particolare, tenuto conto del generico riferimento al concetto di “retribuzione”, deve essere presa a riferimento anche la parte variabile della stessa, purché prevista nei contratti collettivi applicati all’ente.

Il regime di incompatibilità tra lo status di volontario e quello di lavoratore

Da ultimo il ministero del Lavoro si è pronunciato sulla possibilità di poter leggere l’art. 17 Cts nel senso di consentire al lavoratore di un ente del terzo settore di svolgere attività di volontariato presso il medesimo Ets in via occasionale e comunque con oggetto diverso dalla prestazione lavorativa.

La posizione del ministero è indubbiamente restrittiva, in quanto dichiara sussistente una incompatibilità di portata ampia e generalizzata tra la qualità di volontario sic et simpliciter (senza distinzione tra volontario stabile e occasionale) e quella di lavoratore.

La distribuzione degli utili e impresa sociale

Le imprese sociali a differenza degli atri ETS possono destinare eventuali utili e avanzi di gestione a finalità diverse dallo svolgimento dell’attività statutaria o dall’incremento del patrimonio. Le imprese sociali costituite in forma di società secondo le indicazioni del Libro V del codice civile (escluse quindi associazioni e fondazioni, che non possono, anche se qualificate come imprese sociali, distribuire in alcun modo utili), possono infatti destinare eventuali utili e avanzi di gestione a finalità diverse dallo svolgimento dell’attività statutaria o dall’incremento del patrimonio. Per le imprese sociali in forma di società, questa limitata distribuzione degli utili può avvenire:

  • sotto forma di rivalutazione o aumento della quota versata dal socio, nei casi di aumento gratuito del capitale disciplinati dalla legge. Secondo la normativa, quindi, l’impresa sociale può destinare ad aumento gratuito del capitale una quota inferiore al 50% degli utili e degli avanzi di gestione annuali, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati. In questo caso il socio mantiene il diritto al rimborso della quota, che si è rivalutata a fronte dell’aumento;
  • sotto forma di una limitata distribuzione di dividendi ai soci, anche mediante aumento gratuito del capitale sociale o l’emissione di strumenti finanziari, che può avvenire in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

Inoltre, le cooperative sociali (che acquisiscono di diritto la qualifica di impresa sociale) possono ripartire ai soci i ristorni a condizione che le modalità e i criteri di ripartizione siano indicati nello statuto o atto costitutivo. È necessario inoltre che la ripartizione degli storni ai soci sia proporzionale alla quantità o alla qualità degli scambi mutualistici e che si registri un avanzo di gestione mutualistico.

Sanzioni

A tutela del rispetto delle norme che vietano la distribuzione anche indiretta di utili, c’è la disciplina di cui all’art 91 CTS, che prevede sanzioni amministrative pecuniarie di un certo rilievo a carico di chi le violi. Nei casi più gravi, ai sensi dell’art 94, è altresì l’ulteriore sanzione della cancellazione dell’ente dal Registro Unico.

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