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Gli enti del terzo settore diversi dalle imprese sociali possono, come si è detto, svolgere anche attività commerciale in via esclusiva o principale. E, se l’attività commerciale riveste i requisiti della professionalità e dell’organizzazione previsti dall’art. 2082 c.c. e rientra tra le attività elencate nell’art. 2195 c.c., si è in presenza di una vera e propria impresa commerciale. Al proposito, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che «le associazioni assumono la qualità di imprenditore commerciale e sono sottoposte alle relative norme solo se esercitano attività commerciale in via esclusiva e principale», precisando che la natura di ente non commerciale dei soggetti in questione prevista dalla legislazione tributaria, nonché la de commercializzazione di alcune attività, non preclude l’assoggettamento di tali enti a fallimento (Cass. 20 giugno 2000, n. 8374).

Ha peraltro precisato che «L’ente associativo dedito esclusivamente all’attività di formazione professionale sulla base di progetti predisposti dalla regione, dalla quale, poi, riceva i contributi per la copertura integrale del relativo svolgimento e dei costi riguardanti la propria organizzazione, non è assoggettabile a fallimento, atteso che la gratuità di una simile attività, concretamente assicurata con l’erogazione di contributi predetti, esclude che l’ente medesimo svolga un’attività che remuneri (almeno parzialmente) i fattori di produzione con i propri ricavi» (Cass. 21 ottobre 2020, n. 24489). Ha, peraltro, confermato che «L’identificazione quale requisito essenziale dell’attività d’impresa dell’economicità della gestione, in luogo dello scopo di lucro soggettivo, permette, inoltre, di riconoscere lo status di imprenditore a tutti gli enti di tipo associativo che in concreto svolgono, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale (cfr. Cass. n. 8374 del 2000), anche a quelli del libro I del codice civile, una volta che l’attività svolta è stata svincolata dallo schema giuridico adottato.

Buon ascolto.

Podcast GBsoftware a cura del Dott.ssa Paparusso

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L’insolvenza dell’impresa sociale

L’impresa sociale viene definita dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 come “organizzazione privata” costituita anche in forma societaria classica (e quindi non solo in società cooperativa ma anche in s.r.l. ed in S.p.A. ed in altro ente non personificato) che esercita in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alla sua attività; mentre, non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, e successive modificazioni, e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati. Le cooperative sociali e i loro consorzi, di cui alla legge n. 381/1991, acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali. In questo caso le disposizioni sull’impresa sociale, risultano applicabili, nel rispetto della normativa specifica delle cooperative ed in quanto compatibili, fermo restando l’ambito di attività di cui all’art. 1 della citata legge n. 381/1991, come modificato ai sensi dell’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 112/2017. Le cooperative sociali, pertanto, sono automaticamente imprese sociali, a prescindere dalla verifica in concreto del possesso dei requisiti di qualificazione dell’ente, la cui applicazione a questi enti è infatti esclusa.

Alle imprese sociali si applicano inoltre, in quanto compatibili, le norme del codice del terzo settore e, in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, le norme del codice civile e le relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita. In caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, con provvedimento – ad esclusione di quelle aventi la forma di società cooperativa – adottato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; e il patrimonio residuo al termine della procedura concorsuale è devoluto ai sensi dell’art. 12, comma 5, d.lgs 112/2017.

Le imprese sociali, una volta stabilito lo stato di insolvenza, sono soggette a liquidazione coatta amministrativa, procedura concorsuale simile a quello del fallimento ma con delle differenze in termini di interesse pubblico e di tutela sociale.

Per quanto riguarda l’insolvenza delle cooperative sociali, anche sociali, permangono le disposizioni specifiche, nonché gli orientamenti giurisprudenziali pregressi. I compensi per gli organi della procedura sono definiti dal D.M. 20.08.2020 DEL Ministero dello sviluppo Economico del Lavoro e delle politiche sociali. Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

L’insolvenza

Lo stato di insolvenza è lo stato di fatto irreversibile, che porta ad indebitamento od altri fatti esteriori, che dimostrano che il soggetto non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Quando si manifesta, nell’impresa sociale, si apre il procedimento di Liquidazione Coatta amministrativa.

La procedura, simile al fallimento, è rivolta alla liquidazione del patrimonio di particolari categorie di imprese, di interesse sociale o pubblico.

Se al termine della procedura residua un patrimonio, vi è l’obbligo di devoluzione al fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali.

Alle cooperative sociali si applica l’art. 2545 teodicea cc, che dispone la liquidazione coatta amministrativa per le cooperative che svolgono l’attività commerciale, il fallimento.

L’insolvenza attiene ad una situazione oggettiva di impotenza economica, determinata dal fatto che l’impresa non sia in grado di adempiere regolarmente, e con mezzi normali, alle proprie obbligazioni ed alle scadenze pattuite. Pertanto, ai fini dell’accertamento di siffatte situazioni, è del tutto irrilevante l’indagine circa l’ammontare dell’attivo dell’impresa, il quale può anche superare l’ammontare del passivo, senza con ciò escludere l’impossibilità per l’imprenditore di far fronte alle obbligazioni assunte.

Ne è un esempio la presenza di un attivo che, pur consistente, presenti caratteristiche fortemente immobilizzate. Lo stato di insolvenza si assume come irreversibile.

La liquidazione coatta amministrativa

Si definisce come procedura concorsuale disposta dall’autorità amministrativa, volta alla liquidazione del patrimonio di particolari categorie di imprese e che determina come conseguenza l’eliminazione dell’impresa di mercato.

La dichiarazione della liquidazione coatta amministrativa può essere determinata da una molteplice serie di fattori, fra i quali, innanzitutto, lo stato di insolvenza dell’impresa.

Le imprese oggetto della procedura sono imprese il cui dissesto economico ha notevoli ripercussioni sociali in seguito al fatto che lo Stato è direttamente impegnato, e per l’importanza degli interessi che esse tutelano.

Il provvedimento che dispone la liquidazione coatta amministrativa delle imprese sociali, ad esclusione d quelle aventi la forma di società cooperativa, nonché contestuale o successiva nomina del relativo commissario liquidatore di cui all’art. 198 R.D. 16.03.1942 n. 267 è adottato con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

Se al termine della procedura esiste un patrimonio residuo, tale patrimonio è devoluto al fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali, salvo quanto specificamente previsto in tema di società cooperative.

Il provvedimento è trasmesso ai fini della cancellazione dell’impresa sociale dall’apposita sezione del Registro delle Imprese.

Gli organi della liquidazione coatta amministrativa sono:

Commissario liquidatore

L’art. 198 L. Fall. prevede la nomina di un Commissario liquidatore.

Il Commissario liquidatore, cui è affidata l’amministrazione del patrimonio dell’impresa, può:

  • autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione;
  • esercitare le competenze che, nel fallimento, sono del giudice delegato;
  • nominare legali per cause attive o passive;
  • esercitare azioni revocatorie;
  • proseguire con l’attività d’impresa, con l’autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza;
  • esercitare l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori dell’impresa
  • sottoposta alla liquidazione.

Il Commissario liquidatore è un pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio e la responsabilità dell’organo sottostà al medesimo regime che si applica al curatore fallimentare. L’autorità di vigilanza può revocare il Commissario con un provvedimento amministrativo; tale provvedimento può essere impugnato davanti al giudice amministrativo.

Comitato di sorveglianza

Il Comitato di sorveglianza è composto da 3 o 5 membri che divengono pubblici ufficiali e sono scelti tra persone con esperienza nell’attività imprenditoriale dell’impresa in liquidazione.
La funzione del Comitato di sorveglianza è simile a quella del Comitato dei creditori nel fallimento, anche se è un organo consultivo i cui pareri, dunque, non sono vincolanti. Il Comitato dà pareri in materia di:

  • riduzione di crediti, compromessi, riconoscimento dei diritti dei terzi, eredità e donazioni, restituzione di pegni;
  • vendita in blocco di beni mobili e immobili;
  • autorizzazione della proposta del concordato;
  • distribuzione di acconti ai creditori.

Autorità di vigilanza

L’autorità amministrativa di vigilanza ha una funzione di indirizzo e controlla l’attività del Commissario liquidatore tramite i ragguagli del Comitato di sorveglianza.

Inoltre chiede chiarimenti al commissario ed impartisce direttive generali, nomina e revoca gli altri due organi della liquidazione, autorizza le vendite in blocco ed i riparti parziali, liquida i compensi.
In caso di insolvenza, ai sensi dell’art. 14 c. 1 del D.LGS 112/2017 le imprese sociali sono soggette alla liquidazione coatta amministrativa, di cui al R.D. 16.03.1942 N. 267 e successive modificazioni.

Compensi

Per il commissario liquidatore, ai sensi dell’art. 3 del D.m 26.08.2020

Al comitato di sorveglianza spetta un compenso calcolato applicando una percentuale sull’attivo:

  • 12,71% quando l’attivo non supera € 51.000,00.
  • 8,47% sulle somme eccedenti € 51.000,00 e fino a € 258.000,00.
  • 4,23% sulle somme eccedenti € 258.000,00 e fino a € 516.000,00;
  • 1,69% sulle somme eccedenti € 516.000,00 e fino a € 1.549.000,00.)
  • 0,84% sulle somme eccedenti 1 fino 50,0m
  • 0,70% sulle somme eccedenti € 5.165.000,00.

Invece per il compenso finale è applicata una percentuale sul passivo:

  • Allo 0,50%, fino all’importo di € 103.000,00.
  • Allo 0,30%, sulle somme eccedenti € 103.000,00 e fino a € 258.000,00.
  • Allo 0,20% sulle somme eccedenti € 258.000,00 e fino a € 516.000,00.
  • Allo 0,10% sulle somme eccedenti € 516.000,00.

Al comitato di sorveglianza, ai sensi dell’art. 5 D.m. 26.08.2020 spetta un’indennità annua in prededuzione, imputata alle spese di procedura, da calcolarsi sul la base dell’effettiva partecipazione alle riunioni del comitato, determinata sulla base dell’attivo realizzato, nelle seguenti misure massime:

  • € 1.500,00 per le procedure che presentino nell’anno di riferimento un attivo realizzato fino a € 2,5 milioni;
  • € 2.000,00 per le procedure che presentino nell’anno di riferimento un attivo realizzato superiore a € 2,5 milioni e fino a € 7,5 milioni;
  • € 2.500,00 per le procedure che presentino nell’anno di riferimento un attivo realizzato superiore ai € 7,5 milioni.

È prevista una indennità spettante al presidente del comitato è maggiorata del 20%.

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