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La differenza tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità

La differenza tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25143/2025 è tornata ad occuparsi dell’annosa questione relativa alla distinzione tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità.

Con questo recente arresto giurisprudenziale viene confermato  l’indirizzo assunto dalla Corte negli ultimi anni, pertanto viene ribadito che i contribuenti devono essere guidati dal criterio degli “obiettivi  perseguiti” secondo cui le spese di rappresentanza sono sostenute per accrescere l’immagine della società e le sue possibilità di sviluppo, senza che sussista un’aspettativa di incremento delle vendite, le spese di pubblicità, invece, sono direttamente finalizzate alla promozione dei prodotti e dei servizi commercializzati.

Premessa

Il confine tra le spese di rappresentanza e le spesa di pubblicità è particolarmente incerto.

In linea generale, ad avviso della Corte di Cassazione per distinguere fra spese di rappresentanza e spese di pubblicità occorre utilizzare il criterio degli “obiettivi perseguiti”, ovvero:

  • le spese di rappresentanza sono sostenute per accrescere il prestigio e l’immagine della società, senza dar luogo a un’aspettativa di incremento delle vendite;
  • le spese di pubblicità sono finalizzate alla realizzazione di iniziative che tendono, in modo prevalente anche se non esclusivo, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite.

Quindi, in buona sostanza, la spesa di rappresentanza mira ad accrescere il prestigio dell’impresa nel suo insieme, mentre la spesa di pubblicità tende a concentrarsi sui prodotti e/o servizi dell’impresa.

Questa sottile distinzione, però, sul piano fiscale è particolarmente importante; infatti, la qualificazione della spesa conduce a trattamenti differenti.

Le spese di rappresentanza

L’articolo 108, comma 2 del Tuir nel disciplinare la deducibilità delle spese di rappresentanza prevede che esse “sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse.  Le spese del periodo precedente sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari: a) all’1,5 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni; b) allo 0,6 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni; c) allo 0,4 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni.  Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50”.

Il D.M. 19 novembre 2008, richiamato dalla sopra citata norma, ha individuato:

  • specifici criteri di inerenza volti a qualificare le spese di rappresentanza;
  • criteri di congruità, attraverso la fissazione di un limite quantitativo di deducibilità, legato all’ammontare dei “ricavi” conseguiti dall’impresa;
  • alcune tipologie di spese da escludere dal novero delle spese di rappresentanza e, quindi, integralmente deducibili.

In base al combinato disposto della norma e del D.M. 19 novembre 2008, una spesa può essere definita di rappresentanza se:

  • non è collegata ad una controprestazione (criterio della gratuità). Secondo l’Agenzia delle Entrate (circolare n. 34/E/2009) il carattere essenziale delle spese di rappresentanza è costituito dalla mancanza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni e servizi erogati.
  • è sostenute per finalità promozionali o di pubbliche relazioni. Le “finalità promozionali” richieste dalla norma consistono nella divulgazione sul mercato dell’attività svolta, dei beni e servizi prodotti, a beneficio sia degli attuali clienti, che di quelli potenziali. Nel concetto di finalità di “pubbliche relazioni” ad avviso dell’Amministrazione finanziaria (circolare n. 34/E/2024) devono essere ricomprese:
  • tutte le iniziative volte a diffondere e/o consolidare l’immagine dell’impresa, ad accrescerne l’apprezzamento presso il pubblico, senza una diretta correlazione con i ricavi;
  • le esigenze di instaurare o mantenere rapporti con i rappresentanti delle amministrazioni statali, degli enti locali, ecc. o con organizzazioni private quali le associazioni di categoria, sindacali;
  • è ragionevole e coerente.

Al fine di facilitare l’applicazione della disciplina, il D.M. 19 novembre 2008 individua delle tipologie di spese che:

  • sono considerate di rappresentanza (articolo 1, comma 1) e di conseguenza la deducibilità è subordinata al rispetto dei limiti e delle condizioni previste dall’articolo 108, comma 2 del Tuir;
  • non sono considerate di rappresentanza e che dunque sono deducibili dal reddito d’impresa secondo i principi generali (articolo 1, comma 4 e 5).

Per quanto riguarda l’IVA, l’articolo 19-bis1 del D.P.R. n. 633/1972 prevede la totale indetraibilità dell’imposta in caso di sostenimento di una spesa di rappresentanza.

Attenzione: Le spese di vitto e alloggio che ricadono nella definizione di spese di rappresentanza scontano un doppio limite di deducibilità:

  • il primo limite di deducibilità è rappresentato dal disposto dell’articolo 109, comma 5 del Tuir, secondo cui le spese di vitto e alloggio sono deducibili nella misura del 75% dell’importo della spesa stessa;
  • il secondo limite di deducibilità è rappresentato dal disposto dell’articolo 108, comma 2 del Tuir.

Le spese di pubblicità

Le spese di pubblicità, che sono quelle sostenute in forza di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/propagandare – a fronte della percezione di un corrispettivo – il marchio e/o il prodotto dell’impresa al fine di stimolarne la domanda (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E/2009), non sono disciplinate in maniera specifica dal Tuir.

In base a quanto sopra, dunque, stante, a partire dal 2016, l’impossibilità di capitalizzazione, tali spese sono deducibili, se inerenti, nel periodo d’imposta di competenza.

Sotto il profilo dell’IVA, la detrazione dell’imposta, diversamente da quanto visto per le spese di rappresentanza, non sconta vincoli particolari.

La Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, da ultimo con la sentenza n. 25143/2025, ha affermato che il criterio degli “obiettivi perseguiti” rappresenta il discrimen tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, secondo cui le prime sono sostenute per accrescere l’immagine della società e le sue possibilità di sviluppo, senza che sussista un’aspettativa di incremento delle vendite, le seconde, invece, sono direttamente finalizzate alla promozione dei prodotti e dei servizi commercializzati.

La Suprema Corte, dunque, ha voluto dare continuità ad un filone interpretativo oramai consolidato, in base al quale:

  • in tema di IVA, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite” (Corte di Cassazione, Sentenza n. 10440/2021);
  • in tema di redditi d’impresa, anche quando la società contribuente, nel commercio di prodotti di lusso o di nicchia, dispone di un’utenza di riferimento tendenzialmente ristretta, il criterio discretivo tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza è rappresentato dagli obiettivi immediatamente perseguiti mediante gli esborsi sostenuti, i quali, per iscriversi alla prima categoria, devono necessariamente rispondere ad una finalità promozionale specificamente incentrata sui prodotti e compiuta attraverso un’attività reclamistica e organizzativa direttamente calibrata sulla loro vendita, mentre rientrano tra le seconde i costi di iniziative imperniate sull’ente e orientate a potenziarne, quale patrocinatore o sovvenzionatore di eventi culturali, il grado di conoscenza, l’immagine e il prestigio fra potenziali e selezionati clienti, ancorché da esse possa derivare, collateralmente e di riflesso, un incremento delle vendite dei prodotti” (Corte di Cassazione, n. 10871/2023);
  • costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese” (Corte di Cassazione, Sentenza n. 14049/2023);
  • la nozione di pubblicità implica necessariamente la diffusione di un messaggio destinato ad informare il consumatore dell’esistenza e delle qualità di un prodotto o di un servizio allo scopo di incrementare le vendite; benché la diffusione di un messaggio del genere avvenga di solito mediante parole, scritti o immagini via stampa, radio o televisione, essa può anche essere effettuata ricorrendo parzialmente o in via esclusiva ad altri strumenti” (Corte di Giustizia UE, Cause C-334/20).

di Stefano Rossetti

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