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Ex articolo 10 del d. Lgs n. 74/2000: la condotta penalmente rilevante

Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili

Con la Sentenza n. 25910, la Cassazione penale sez. III del 29 maggio 2025 ha statuito che il reato di occultamento o distruzione di scritture contabili è integrato anche se è possibile effettuare la ricostruzione dei redditi e la stessa risulta complicata ma può essere realizzata attraverso altri indici rispetto alle scritture contabili.

Premessa

L’articolo 10 del D.Lgs. n. 74/2000 ha Stabilito l’ipotesi delittuosa di occultamento di documenti contabili. In particolare, il legislatore ha stabilito quando la condotta di occultamento dei documenti contabili diventa penalmente rilevante anche in ipotesi di occultamento parziale della documentazione obbligatoria. Nello specifico, tale reato punisce chiunque, con lo scopo di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, o di consentirlo a terzi, occulta o distrugge le scritture contabili o i documenti obbligatori per legge. Il momento consumativo del reato coincide con la circostanza che l’occultamento impedisce la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari.

Soggetti attivi del reato

La fattispecie in contestazione non è un reato proprio in quanto può essere commesso da chiunque anche da chi non è amministratore nell’ambito di una compagine sociale.  In particolare, il reato in oggetto si applica nei confronti di chiunque abbia l’obbligo di conservare la documentazione contabile. Tali soggetti in genere sono i contribuenti, ossia la persona fisica o giuridica obbligata a tenere per legge le scritture contabili e i relativi documenti. Può, inoltre, essere considerato soggetto attivo del reato chi agisce per conto del contribuente, ossia un collaboratore o l’amministratore di una società o un professionista delegato. In ordine alle società l’obbligo tributario nasce in capo al soggetto che si trova alla guida dell’impresa quando spira il termine del periodo di imposta in tale momento questi assume le vesti di soggetto obbligato a dichiarare. La dichiarazione, in particolare, si riferisce ad una situazione passata ovvero l’andamento dell’impresa nel periodo precedente allo scadere del termine del periodo di imposta. In riferimento a tale periodo, infatti, l’imprenditore, in quanto titolare di un potere gestorio, è chiaramente in possesso di tutti i dati circa lo stato patrimoniale dell’impresa, utili per redigere la dichiarazione a fini fiscali. Da ciò si ricava un dato centrale l’obbligo dell’imprenditore nasce perché questi è pienamente in grado di rendicontare su quella situazione del passato dal momento in cui scade il termine del periodo di imposta. Pertanto, se l’imprenditore mantiene il potere di gestione fino allo scadere del periodo di imposta, nasce in capo a questi l’obbligo di dichiarare il reddito maturato in tale periodo. Tale obbligo, poi, si mantiene intatto fino a che non viene estinto attraverso la presentazione della dichiarazione. Ciò significa che il soggetto potrà essere chiamato a rendere la dichiarazione in un momento successivo, ma ciò non cambia il fatto che, fino a tale momento, questi è obbligato a rendere conto in riferimento al periodo d’imposta passato. Si tratta perciò di una situazione soggettiva di carattere passivo che si cristallizza nel momento in cui spira il termine del periodo di imposta e che si estingue con la dichiarazione nel successivo momento della dichiarazione. Tale ultimo termine, però, non ha nulla a che fare con la nascita di quella situazione, che sorge al termine del periodo di imposta, ma solamente con la possibilità di estinguerlo, presentando la dichiarazione nel tempo prestabilito. Se per avventura l’imprenditore perde il potere gestorio nel periodo compreso tra lo scadere del termine del periodo di imposta e il successivo termine per la presentazione della dichiarazione, come avviene nel caso del fallimento intervenuto in tale periodo, non per questo l’obbligo dichiarativo viene meno, infatti, si è ormai perfezionato, con la conseguenza, che da quel momento l’imprenditore è vincolato a presentare la dichiarazione. La successiva perdita di potere gestorio risulta, pertanto, ininfluente sull’obbligo dichiarativo, come afferma la giurisprudenza, secondo cui in tema di omessa dichiarazione dei redditi, spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare le dichiarazioni per i periodi di imposta successivi, in essi compreso anche il periodo nel corso del quale è intervenuto il fallimento (Corte di Cassazione, Sentenza n. 1549/2010). Non pare dubitabile quindi che il fallito sia tenuto alla presentazione della dichiarazione per i periodi di imposta ricadenti nella propria fase di gestione, anche se la dichiarazione relativa a quel periodo di imposta deve essere presentata in un tempo successivo, nell’arco del quale sopraggiunge il fallimento.

La condotta penalmente rilevante

Il reato in oggetto è un reato di pericolo in concreto, in quanto la condotta deve essere idonea a rendere impossibile la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari.

In tema di reati tributari, l’elemento oggettivo del reato di occultamento o distruzione di scritture contabili di cui all’articolo 10 del Dlgs 74/2000 si realizza quando l’occultamento dei documenti della contabilità costringe l’organo accertatore a compiere ulteriori attività, oltre a quelle consuete per ricostruire i movimenti degli affari.  Tale reato sussiste anche qualora risulti possibile ricostruire il quadro reddituale solo attraverso il reperimento della documentazione mancante presso terzi, a nulla rilevando che tale ricostruzione a posteriori sia agevolata dalle indicazioni dello stesso imputato.

Attenzione: Il reato, quindi, è escluso solo nel caso in cui il fatturato possa essere ricostruito in base alla documentazione conservata dall’imprenditore interessato.

Ai fini della configurazione del reato di cui all’art. l0 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, che renda obiettivamente più difficoltosa, ma non impossibile, la ricostruzione della situazione contabile, ma è necessario un “quid pluris” a contenuto commissivo consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge.

L’elemento psicologico del reato: il dolo specifico.

In tema di reati tributari, l’elemento soggettivo del delitto di occultamento e distruzione di documenti contabili è integrato dal dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire l’evasione fiscale di terzi, essendo irrilevanti, per contro, l’interesse o il movente che abbiano eventualmente spinto l’agente a commettere il reato.  Il dolo specifico, in tale ipotesi, richiede, la coscienza e volontà di compiere l’azione (occultare o distruggere) e la finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, o di consentire a terzi l’evasione. Pertanto, l’autore del reato deve avere l’intenzione di commettere l’azione e di raggiungere il fine illecito dell’evasione fiscale. La Corte di Cassazione ritiene che per la prova del dolo specifico in questa ipotesi delittuosa sia necessaria la prova della produzione del reddito o del volume d’affari, occultato, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, che l’agente sia titolare di una attività commerciale. Più in generale, la Corte ha rilevato che: “trattandosi di un reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere” e “ la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento anti-doveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiore alla soglia di rilevanza penale e può costituire oggetto di rappresentazione e volizione anche soltanto nella forma del cosiddetto dolo eventuale” (Corte di Cassazione, Sentenza n. 32241/2021 in giurisprudenzapenale.com , Rivista mensile agosto 2021) .

Il momento consumativo del reato e la prescrizione

Il delitto di cui all’articolo 10 del D.Lgs. n. 74/2000, realizzato sub specie di occultamento totale o parziale delle scritture contabili, ha natura permanente, perdurando l’obbligo di esibizione dei documenti fiscali finché prosegue il controllo da parte degli organi ispettivi, sicché la sua consumazione postula la conclusione e non il mero inizio di tale accertamento, indipendentemente da eventuali condotte collaborative del contribuente sottoposto a verifica. Pertanto, per la condotta di occultamento, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui le autorità fiscali chiedono di verificare la documentazione. Il termine breve di prescrizione è di 8 anni, mentre è di 10 anni quando si verifica l’atto interruttivo della prescrizione.

La sentenza n. 25910 della Cassazione penale, sez. III del 29/05/2025

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 25910/2025 ha stabilito che:Per integrare il reato di cui all’art. 10 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, non è necessario che si verifichi un’assoluta impossibilità di ricostruire il volume d’affari o i redditi. Anche un impedimento relativo è sufficiente, il che non è escluso nel caso in cui questa ricostruzione possa essere ottenuta da altre fonti.”

Dunque, dal principio statuito con la recente sentenza di Cassazione in materia si desume che per sussistere il reato non deve necessariamente verificarsi una impossibilità oggettiva di ricostruzione del volume d’affari del contribuente. Infatti, il reato può sussistere anche nell’ipotesi in cui il volume d’affari si ricostruisce da fonti esterne rispetto al soggetto che ha l’obbligo di tenere le scritture contabili. Ciò che rileva per la configurabilità sono la condotta di occultamento o distruzione poste in essere dal soggetto agente con il fine espresso di evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto a prescindere dall’effettiva impossibilità a ricostruire il volume d’affari. Nel caso trattato dalla Suprema Corte il reddito d’impresa non è stato desunto attraverso i documenti e le scritture contabili, ma è stato ricostruito attraverso altri indici, ovvero in maniera più complicata di quanto sarebbe avvenuto se fosse stata prodotta la relativa documentazione. Il fatto che il giudice del merito sia comunque riuscito a ricostruire tale reddito non esclude la rilevanza penale della condotta dell’imputato.

Pertanto, la circostanza che dall’accertamento effettuato da parte delle autorità si sia potuto ricostruire il volume d’affari non ha valenza esimente e non costituisce una causa di esclusione della punibilità.  Naturalmente, il reato sussiste nell’ipotesi in cui siano integrati tutti gli elementi costitutivi, sia di natura oggettiva che sotto il profilo soggettivo e non sussistano cause di giustificazione.

di Daniele Pitingolo

TAG distruzionedocumenti contabilioccultamento

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