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Il Tribunale di Milano chiarisce il passaggio di consegne nella gestione delle società con l’ordinanza cautelare del 30 settembre 2024, con la quale ha precisato che spetta al vecchio amministratore rendere conto al nuovo il conto della gestione svolta fino alla cessazione dell’incarico.

Tale obbligo, inoltre, deve essere ricostruito in ragione delle esigenze del caso concreto; esigenze che, nel caso giunto all’esame del Tribunale di Milano, imponevano al precedente amministratore di riferire sui contratti già conclusi o in essere al momento della cessazione.

Buon ascolto.

Podcast GBsoftware a cura del Dott.ssa Paparusso

Ascolta “Ep.130 Nuovo e vecchio amministratore passaggio di consegne” su Spreaker.

Il vecchio amministratore rende il conto al nuovo amministratore

Il nuovo amministratore chiedeva, senza successo, al vecchio amministratore la riconsegna dei libri sociali, del libro degli inventari e dei contratti sottoscritti in rappresentanza della società. Il vecchio amministratore replicava a tale richiesta affermando di non essere in possesso della documentazione richiesta perché collocata presso uffici ai quali non era più in grado di accedere. La srl, quindi, per il tramite del nuovo amministratore, chiedeva, da un lato, l’adozione di un provvedimento d’urgenza, ex art. 700 c.p.c., al fine di ottenere sia la documentazione richiesta che la comunicazione di ogni notizia e informazione relativa all’attività svolta durante l’incarico, e, dall’altro, la condanna di Il vecchio amministratore al pagamento di una penalità di mora, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo successivo al decimo dalla comunicazione dell’ordinanza di accoglimento del ricorso. Il Tribunale di Milano considera la richiesta in questione fondata.

Si tratta di un obbligo che trova fondamento nella previsione dell’art. 1713 comma 1 c.c., che impone al mandatario il c.d. obbligo di rendiconto, e che può trovare applicazione anche al rapporto di amministrazione, in quanto riconducibile al mandato.

Quanto all’onere probatorio – osserva il giudice milanese – il creditore può, secondo i principi generali, limitarsi a provare il titolo, cioè la fonte del proprio diritto e ad allegare l’inadempimento del debitore, mentre incombe su quest’ultimo l’onere di fornire la prova liberatoria dell’esatto adempimento o dell’impossibilità sopravvenuta di esecuzione della prestazione (artt. 1218 e 1256 c.c.); rileva, altresì, l’art. 1257 c.c., secondo cui la prestazione avente ad oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la res viene smarrita senza che possa esserne provato il perimento.

È invece irrilevante, l’eventuale imputabilità al debitore della causa da cui sia dipesa l’impossibilità di esecuzione della prestazione, trattandosi di circostanza che attiene al profilo risarcitorio e, quindi, al merito della questione. Invece, il vecchio amministratore ha un obbligo generale di rendiconto dell’attività gestoria espletata fino alla cessazione della carica; obbligo che, nel caso di specie, viene focalizzato sui contratti conclusi o comunque in essere fino al giorno in cui Il vecchio amministratore era stato amministratore. Rispetto a tale richiesta è ravvisato anche il necessario periculum, in ragione della necessità di evitare che lo svolgimento della gestione da parte di Il nuovo amministratore possa essere impedita, o resa difficoltosa, con evidente pregiudizio per l’interesse sociale.

Pertanto il Tribunale di Milano ha:

  • ordinato al vecchio amministratore di consegnare alla srl una relazione informativa sui contratti ricordati. Tale consegna, tuttavia, è imposta non nel breve termine richiesto di 10 giorni, ma, stante la complessità dell’attività, nel termine di 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza;
  • si condanna Il vecchio amministratore a pagare alla srl una penalità di mora determinata nella misura di 100 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine, a partire dalla scadenza del termine di 60 giorni assegnato.

Le dimissioni di un coamministratore con poteri disgiunti

In caso di dimissioni rassegnate da uno dei due coamministratori con poteri disgiunti di una società, senza che essi costituiscano un Consiglio di Amministrazione (CdA) non vi è una soluzione uniforme da parte della giurisprudenza. Con la riforma attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 è stato modificato l’art. 2475, comma 3, c.c. inserendo la possibilità che la governance di alcune società di capitali sia affidata congiuntamente o disgiuntamente a più persone. Tale modifica ha rappresentato un significativo passo avanti nella flessibilità gestionale delle società, permettendo una distribuzione più equa delle responsabilità e una maggiore efficienza decisionale. Con questa nuova configurazione ci si trova difronte a diversi interrogativi pratici non del tutto risolti, come ad esempio l’applicabilità dell’istituto della prorogatio nel caso di dimissioni di un coamministratore con poteri disgiunti, oggetto della presente analisi.

L’istituto della prorogatio

L’istituto della prorogatio è un meccanismo giuridico che garantisce la continuità dell’amministrazione aziendale anche dopo la scadenza del mandato o, in alcuni casi, le dimissioni degli amministratori. Tale istituto è previsto dall’art. 2385 c.c. che prevede che “L’amministratore che rinunzia all’ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d’amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori”. Ciò è stato esteso dalla giurisprudenza anche alle società a responsabilità limitata.

La prorogatio ha durata limitata, non può protrarsi indefinitamente. La mancata nomina tempestiva può esporre la società a rischi legali e operativi, poiché gli amministratori in prorogatio potrebbero non avere la legittimità necessaria per rappresentare la società in tutte le circostanze.

Il tema delle dimissioni rassegnate da uno dei due coamministratori con poteri disgiunti e in particolare dell’applicabilità dell’istituto della prorogatio è stato oggetto di molteplici interpretazioni e sentenze. La già citata sentenza Cass. 1602/2000, riprendendo brevemente i punti salienti del dibattito in corso, stabilisce che “[…] Né è invocabile, nel caso in cui l’amministrazione sia attribuita disgiuntamente a più persone, come quello in esame, il principio che la rinuncia nelle società di persone possa avere effetto soltanto quando l’amministratore sia stato sostituito, perché la presenza dell’altro amministratore, nel quale si concentrano i poteri dell’ordinaria amministrazione, esclude che il dimissionario debba ancora occuparsi della gestione.”. In questo caso gli ermellini escludevano l’applicabilità della prorogatio. La sentenza risulta particolarmente interessante anche perché riferita a due amministratori con poteri disgiunti di ordinaria amministrazione e congiunti di straordinaria amministrazione. Tuttavia, preme sottolineare che il caso di specie si riferiva ad una società di persone.

Nel 2015, la sentenza del Tribunale di Roma del 1° dicembre 2015, R.G. 46513/2014, richiamando la sopra citata sentenza, ha esteso questa interpretazione anche alle società a responsabilità limitata (S.r.l.) sottolineando che le dimissioni di uno dei due coamministratori di una S.r.l. con poteri disgiunti sono immediatamente efficaci, poiché l’altro amministratore mantenga pieni poteri di gestione.
Nel 2018 la questione è stata oggetto di una ulteriore sentenza della Corte di Cassazione che sembrerebbe astrattamente porsi in contrasto con la sentenza appena esaminata. In particolare, la sentenza Cass. 27761/2018, afferma che “L’amministratore che rinunzia all’ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d’amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori”. In tale sentenza gli ermellini fanno espresso riferimento all’applicabilità, anche agli amministratori con poteri disgiunti delle società di capitali, dell’istituto della prorogatio nel caso in cui venga meno la maggioranza degli amministratori. Pertanto, in virtù di tale interpretazione, nelle società di capitali, nel caso di dimissioni di uno dei due amministratori con poteri disgiunti, poiché viene meno la maggioranza dell’organo amministrativo, trova applicazione l’istituto della prorogatio.

Pertanto considerando il contrasto, la Cass. 27761/2018 richiama espressamente la Cass. 1602/2000, affermando che “Né tale soluzione è da ritenere in contrasto […] con la pronuncia di Cass., n. 1602/2000, sopra citata. In effetti, questa sentenza riguarda propriamente il caso di una società in nome collettivo ed è univoca, inoltre, nel riferire il suo argomentare al solo genere delle società di persone”.

In considerazione delle perdette sentenze è possibile dedurre che, nel caso delle dimissioni di uno dei due coamministratori di una società che non costituiscono CdA, trovi applicazione una diversa disciplina a seconda che si tratti di una società di persone o una società di capitali. Infatti, mentre nel primo caso in virtù della richiamata Cass. 1602/2000 non troverà applicazione l’istituto della prorogatio, di contro nel caso delle società di capitali tale istituto troverà applicazione.

Gli amministratori in regime di prorogatio non subiscono alcuna limitazione, potendo continuare a gestire la società con pienezza di poteri. Tra gli obblighi degli stessi durante il regime di prorogatio vi è quello di convocare il prima possibile l’assemblea dei soci e di indicare tra gli argomenti all’ordine del giorno il rinnovo delle cariche sociali.

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