
L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 50/E/2025 del 3 ottobre ha chiarito che non è possibile ottenere il rimborso dell’IVA ai sensi dell’articolo 30-ter del D.P.R. n. 633/1972 quando, a seguito di un accertamento, il rapporto contrattuale tra le parti viene riclassificato a causa dell’invalidità del titolo giuridico da cui derivano le prestazioni.
Risoluzione 50/E/2025: escluso il rimborso IVA nei casi di frode
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 50/E/2025 del 3 ottobre, ha reso chiarimenti in ordine alla restituzione dell’IVA applicata a cessioni di beni e prestazioni di servizi nei casi in cui l’imposta non era dovuta, e ciò è stato accertato in via definitiva da parte dell’Amministrazione Finanziaria, si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il rapporto contrattuale instaurato tra le parti venga riqualificato da contratto d’appalto di servizi a contratto di somministrazione di lavoro e, di conseguenza, recuperata l’IVA inizialmente esposta in fattura. Il giorno 7 ottobre l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una seconda versione della risoluzione ove è inserito l’inciso “in un contesto di frode” – assente nella prima stesura del documento; tale precisazione assume particolare importanza delineando il parametro applicativo.
Nella risoluzione viene rilevato, come già più volte chiarito dalla prassi, che la disciplina del rimborso dell’IVA, nel rispetto della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta inizialmente versata all’Erario.
Tale possibilità è espressamente subordinata all’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura, imposta che lo stesso cessionario/committente deve aver restituito all’Erario a seguito di un accertamento definitivo. Tuttavia, la restituzione dell’imposta resta esclusa se il versamento dell’IVA è avvenuto in un contesto di frode fiscale.
La norma di riferimento è l’articolo 30-ter del D.P.R. n. 633/1972, introdotto dalla legge Europea 2017, che disciplina la restituzione dell’imposta non dovuta, definendo i termini e le condizioni per la richiesta. Il comma 1 dell’articolo 30-ter, stabilisce che il contribuente può fare richiesta dell’IVA entro due anni dal versamento o dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Il successivo comma 2 prevede che, nel caso di imposta non dovuta per una cessione di beni o una prestazione di servizi, accertata dall’Amministrazione in via definitiva, la domanda può essere presentata dal cedente o prestatore entro due anni dalla restituzione al cessionario o al committente, dell’importo pagato a titolo di rivalsa, imposta che lo stesso cessionario/committente deve aver restituito all’Erario a seguito di un accertamento definitivo. Infine, il comma 3 esclude la restituzione nei casi di frode.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che se, in un contesto di frode, a seguito di controlli, il rapporto contrattuale instaurato tra le parti viene riqualificato (perché, ad esempio, all’ipotesi in cui il rapporto contrattuale instaurato tra le parti venga riqualificato da contratto d’appalto di servizi a contratto di somministrazione di lavoro ) e di conseguenza viene escluso, per invalidità del titolo, il diritto alla detrazione Iva relativa al contratto di appalto, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA, non si potrà procedere ad alcuna restituzione dell’imposta.
Nella risoluzione si cita a titolo esemplificativo la prassi, a volte ritenuta dai verificatori abusiva, di stipulare contratti di appalto di servizi che nascondono contratti di somministrazione di lavoro. In tali casi:
- l’IVA applicata originariamente non era dovuta, perché un contratto di somministrazione di manodopera – generalmente quando resa da società appositamente autorizzata – non costituisce prestazione rilevante ai fini IVA (per la quota relativa al costo del lavoro);
- il committente che ha detratto l’IVA deve restituire l’imposta all’Erario;
- il contratto di appalto è ritenuto invalido dall’Agenzia delle Entrate a seguito di accertamento.
Pertanto, non è configurabile un diritto al rimborso ai sensi dell’articolo 30‑ter del D.P.R. 633/1972;
- la risoluzione afferma che in tale ipotesi la domanda di restituzione dell’IVA da parte del prestatore non è ammissibile, anche se questi ha restituito l’imposta al committente.
Qualora la riqualificazione contrattuale comporti l’assenza di imponibilità produce una situazione nella quale non si può attivare il rimborso, perché non si può far valere un’operazione imponibile inesistente.
Tale posizione assume rilievo anche in merito ai controlli fiscali, agli accertamenti in sede contenziosa e alle pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato la materia della somministrazione occulta.
Però alcune pronunce europee, anche in casi di operazioni inesistenti, hanno riconosciuto il rimborso dell’IVA, si confronti Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sentenza del 8 maggio 2019 relativa alla causa C-712/17).
di Mariangela Paparusso
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